Esco da lavoro come tutti i giorni. Dal lunedì al venerdì imbocco come un automa la strada del ritorno verso casa. Sì il piu’ delle volte come un automa per non rendermi conto dello schifo, del piattume grigio che mi circonda.
Come al solito prima di girare l’angolo saluto la puttana brasiliana (o giu di li). Una donna segnata dal tempo, dalla strada, con dei vaporosi capelli ricci corvini. Mi piace, è comica quando mi saluta esclamando“patatina” con quel accento misto, un po’ esotico, un po’ milanese. E so che potrà sembrare strano, ma ha un’aria cosi materna, protettiva. Come Mamy di Via col vento, un pochino piu disinibita, la versione Drag Queen.
E voilà come per magia mi risveglio alla fermata della 90. Non so bene il perché; di solito rimango in stato di trance passivo fino a destinazione-casa, invece oggi decido di osservare intorno a me. Mi soffermo sulle cose piccole cosi belle, cosi trascurate. Le persone tendono a prestare attenzione all’insieme, al tutto e raramente al particolare. Certo, perché il tutto è piu omogeneo piu diretto e non comporta grande fatica celebrale.
Ritorno bambina e mi soffermo sui piccoli accessori “primavere-estate” della capitale della moda e della sua strada. La mattonella del marciapiede con le sue rughe, le sue macchie; la formica di passaggio davanti al mio piede; la foglia secca che quasi rantola sull’asfalto caldo guidata da un timido vento afoso milanese.
Quando comincio a pormi le solite domande stupide per eccellenza: “quante storie avranno da raccontare questi piccoli elementi?”, mi accorgo che è in arrivo il filobus.
Ma quanto è triste la 90?
Penso di salire e già mi sento di troppo; si perché quando si aprono a stento le porte automatiche di questo mezzo strapieno, sento lo sguardo pesante dei passeggeri che sperano nella mia rinuncia ad entrare. Perché occupo spazio e fa caldo e si ha fretta.
A milano si ha sempre fretta, ormai è nel dna. Anche se non hai un cazzo da fare devi andare, correre, l’importante è l’immediatezza. Per essere retorica “il tutto e subito”.
Non mi faccio intimorire dagli sguardi di questi corridori compulsivi e salgo.
E me ne pento.
Respiri addosso al mio corpo, odori di ogni genere. Il profumo troppo dolce, troppo tutto della signora "bene" finita li per caso o necessita, mai per scelta, e il sudore acido di fine giornata dei muratori. Cerco di non pensarci e mentre tento di cambiare invano la canzone del mio i-pod, mi appare di fronte incorniciata da una luce surreale RAFFAELLA CARRÀ col suo odioso caschetto biondo barbie e la sua risata isterica.
Ebbene si, sono in uno studio televisivo anni ’90 stracolmo di lustrini, di ballerini cocainomani troppo felici per non essere fatti e di un pubblico che sicuramente si è fatto passare la roba dai ballerini per poter ridere e battere le mani a comando con tale entusiasmo. Ah che belli gli anni ’90!
Sul tavolino kich e chic di Raffaella, una miniatura dal vero della 90 milanese.
È un incubo, penso.
A quel punto incrocio lo sguardo della conduttrice e una voce fuoricampo recita: “e adesso gioca con noi Valentina! Neolaureata, lavora al Touring, uno spizio per anziani che nel tempo perso produce cartografia”.
Applausi.
“allora valentina” esclama la bionda strafatta, “passiamo al domandone. Quanti elementi disgustosi puo' contenere la famosa 90? Pensaci bene, la realtà a volte supera alla grande l’immaginazione umana”.
E lo so, lo so!
Ma purtroppo sono arrivata alla mia fermata. Me tapina, non ho mai vinto niente nella vita. Neanche in una mia allucinazione!